Guarda ogni uscita come un ingresso in qualcos’altro.
Tom Stoppard
L’edificio non è più solo contenitore. Le pareti sbreccate, i lucernari che filtrano una luce sfumata, i residui della pista da ballo — tutto contribuisce a una sensualità del silenzio e del ricordo.
Le opere esposte — installazioni, video, sculture, performance — non operano in astratto, bensì in una mediazione con ciò che è stato: con il vecchio salone, con i corpi che vi danzavano, con la musica che ancora sembra vibrare nei muri.
Il titolo «Chi esce entra», mutuato dall’opera in feltro del 1971 di Vincenzo Agnetti, marca quell’istante di soglia in cui l’uscita coincide con un ingresso — e l’ingresso contiene una perdita, un oblio, una memoria latente.
In questo senso, l’edificio che diventa categoria filosofica: un organismo che lascia i suoi strati, li dispiega, li “mostra” prima di mutare destinazione.
Tra i fili conduttori si distinguono:
l’eredità culturale e la sua fragilità: l’edificio come vettore di relazioni, corpi, identità che hanno abitato il luogo; il concetto di decadimento attivo: non solo rovina passiva, ma condizione fertile per la creazione e di rinascita; la politica della memoria: come l’arte non soltanto ricorda, ma interroga — le narrazioni ufficiali, i margini della storia, gli spazi queer (il club degli anni ’80) emergono come tracce latenti.
Attraversare questa mostra significa trovarsi in uno spazio tra vita e morte architettonica — uno spazio che pulsa, che ricorda, che anticipa la trasformazione in sede della Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell’arte.
Si diventa parte di una temporalità sospesa: il visitatore non è solo spettatore ma attore di un rito urbano, un rito di passaggio. In questo senso, la mostra si fa esperienza esistenziale.
Se pensiamo all’edificio come corpo che ha vissuto più vite, ora è in fase liminale: il passato non semplice ricordo, ma strato stratificato che convive con il presente e prelude al futuro. In questo limbo, l’arte ha la funzione di rendere visibile ciò che altrimenti verrebbe occultato, cancellato.
Il titolo rivela che uscire non significa sparire: uscire è anche entrare in un nuovo stato — di consapevolezza, di memoria, di trasformazione. E viceversa. Il paradosso è radicale quanto l’esperienza della mostra: non c'è separazione tra fine e inizio, ma continuità «tras-formata».
“Chi esce entra” non è quindi una mera mostra-omaggio, ma un atto: un’indagine sul tempo, sull’architettura come testimonianza, sull’identità collettiva come accumulo di storie che rischiano di evaporare se non interrogate. In un’Italia in cui molti edifici spariscono o si riconvertono senza memoria, questo progetto diventa micro-evento etico: ricordare per trasformare, trasformare per non cancellare verso una diversa consapevolezza dello spazio e della memoria.
Accumuli associazioni come si accumulano mattoni. La memoria stessa è una forma di architettura.
Louise Bourgeois
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
Orari di apertura e accessibilità
Via Gregoriana 9, 00187 Roma
mercoledì – domenica, ore 16.00–20.00 fino al 9 novembre 2025
Accesso gratuito
Siamo spiacenti di comunicare che a causa delle sue caratteristiche architettoniche, lo spazio sfortunatamente non è accessibile a persone con mobilità ridotta.
Contatti
Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell’arte
Via Gregoriana 28, 00187 Roma
INFORMAZIONI PER LA STAMPA
Lara Facco P&C