La Strana Vita delle Cose

La Strana Vita delle Cose

La costellazione di opere di Tatiana Trouvé che occupano i tre piani di Palazzo Grassi accompagna il visitatore tra mondi interiori ed esteriori in cui convergono sogni, ricordi e visioni. 
Recensito da Beatrice 11. May 2025

6 aprile 2025 – 4 gennaio 2026
 A cura di Caroline Bourgeois e James Lingwood, in collaborazione con l’artista

 
Noi siamo acqua. Parlare con l’acqua è parlare con il nostro corpo, con i nostri sogni e con i nostri morti.
Valeria Luiselli


A Palazzo Grassi, Pinault Collection dedica un grande progetto espositivo all’artista franco-italiana Tatiana Trouvé (nata nel 1968 a Cosenza, in Italia), a cura di Caroline Bourgeois, conservatrice capo presso la Pinault Collection, e James Lingwood, curatore indipendente ed ex co-direttore di Artangel.

Concepita in stretta collaborazione con l’artista, questa monografica - la più grande mostra personale di Tatiana Trouvé mai presentata e la sua prima grande esposizione in Italia – è la risposta ambiziosa e complessa all’invito carte blanche che la Pinault Collection rivolge ai protagonisti dell’arte contemporanea internazionale. Gli spazi di Palazzo Grassi sono il punto di partenza per la creazione di nuove sculture, di un insieme di disegni di grandi dimensioni e di installazioni site-specific, presentati in dialogo con opere dell'ultimo decennio, che, insieme, propongono diverse prospettive attraverso i mondi di Tatiana Trouvé. La mostra si arricchisce inoltre di importanti opere provenienti dalla Pinault Collection, da musei internazionali e da collezioni private, oltre che dall'archivio dell'artista.

La costellazione di opere di Tatiana Trouvé che occupano i tre piani di Palazzo Grassi accompagna il visitatore tra mondi interiori ed esteriori in cui convergono sogni, ricordi e visioni. Immagini e oggetti appaiono e riappaiono in spazi e scenari diversi, passando da due a tre dimensioni e viceversa. Avanzando ed arretrando tra un passato ante-umano, un presente turbolento e un futuro speculativo, Tatiana Trouvé invita i visitatori a entrare in un affascinante labirinto spaziale, temporale e mentale.

Si ringrazia per il sostegno Gagosian.

La mostra è sostenuta da Pomellato.

 

Caroline Bourgeois e James Lingwood: Potresti parlarci della citazione di Astrida Neimanis che appare sulla parete del tuo studio, «Il mare che ora è nel tuo corpo forse un tempo è stato un fiume, forse un tempo ha fatto parte di un oceano»?

Tatiana Trouvé: È una citazione che mi piace molto. L’acqua racchiusa nel nostro corpo indica che siamo esseri acquatici, che veniamo dall’acqua ma anche che all’acqua ritorneremo, e che la nostra morte sarà un’evaporazione. L’acqua che conteniamo potrà circolare e, a meno di essere chiusi in una bara, forse nutrirà le radici degli alberi le cui cime, innalzandosi fino alle nuvole, daranno origine alle piogge. La nostra acqua si mescolerebbe a quella che fluisce per raggiungere i torrenti, i fiumi e i mari, e tutto ciò che è vivente. È una simbiosi acquatica, inscritta nel ciclo della vita e che, su un piano metafisico, come diceva Deleuze, implica che «solo gli organismi muoiono, mai la vita».

CB/JL: In che modo tutto ciò influisce su come hai immaginato questa esposizione a Palazzo Grassi?

TT: Tutta la mostra è legata a questa dinamica, a questa rigenerazione, agli spostamenti e alle trasformazioni che permettono a ciò che appare di riapparire altrove, in modo diverso, in un ciclo apparentato con quello della vita. Anche l’opera collocata nell’atrio di Palazzo Grassi è connessa, in senso più letterale, al fenomeno della circolazione dell’acqua: si viene accolti da un pavimento di asfalto in cui sono inseriti dei chiusini di pietra e di metallo, insieme ad altri elementi che fanno parte del paesaggio urbano – come le strisce pedonali o le lastre di metallo usate nella realizzazione di lavori sulla superficie stradale. 

CB/JL: La maggior parte degli oggetti che «utilizzi» ha una storia. Sono appartenuti a una città, a una persona, a un corpo. Che importanza ha per te questa idea di recuperare o di ri-creare qualcosa che è già esistito altrove?

TT: Nel corso degli anni ho preso l’abitudine di raccogliere oggetti, scarti e frammenti di cose che portano tracce del tempo legate a eventi accidentali, alterazioni o a utilizzi che testimonino il loro modo di esistere. Ho costituito una sorta di atlante di questi oggetti, che realizzo in materiali diversi – bronzo, metallo, pietra, cemento, gesso gommapiuma – e con i quali convivo da anni. Possono cambiare identità non appena sono riprodotti in un materiale che li trasforma e li traghetta verso l’ecosistema del mio lavoro, alimentando nuove narrazioni in cui si adattano gli uni agli altri. Li ritroviamo nelle sculture o nelle installazioni, ma possono anche restare per anni sugli scaffali del mio studio, fino a diventarne parte. Come se avessero una sorta di vita propria.

CB/JL: Alcuni oggetti ritornano da anni nelle tue opere, per esempio le scarpe da donna, le coperte, le valigie, le chiavi. Che significato hanno per te?

TT: Sono cose accomunate da una relazione con un mondo in movimento. Alle scarpe associo l’esercizio del camminare e del pensiero, alle valigie, alle coperte e ai cuscini l’atto di abitare e viaggiare, alle chiavi la possibilità di aprire e chiudere, di passare dall’interno all’esterno. Questi oggetti mi servono da legame, da ponte per costruire narrazioni, anche se queste ultime possono portarci fuori strada. Sono elementi ricorrenti che permettono di aprire il mio lavoro a molteplici racconti, che conducono verso altri mondi. Mondi che non mi sono propri, legati a pensieri che vanno oltre la mia pratica ma che tuttavia la alimentano, come dimostrano altri oggetti, ovvero le opere di autori e autrici di cui riprendo i titoli incidendoli su libri di pietra. La mobilità non è necessariamente legata alla velocità, in particolare nel mio modo di procedere, ma nel gioco degli elementi non c’è niente di immutabile, e anche i materiali che impiego il più delle volte non lo sono, contrariamente a ciò che si pensa di solito: il bronzo è sottoposto a un’ossidazione continua nel tempo, può deteriorarsi; la pietra porta in sé una storia che si erode lentamente. Il turbamento è legato anche all’intreccio di questi molteplici movimenti.

Estratti del catalogo della mostra "Tatiana Trouvé. La strana vita delle cose" a Palazzo Grassi



Le cose hanno la loro memoria, come noi abbiamo la nostra. Solo che non parlano. Ma ascoltandole, qualcosa si capisce.
Orhan Pamuk