L’Art Déco è l’eleganza geometrica dell’era moderna.”
— André Vera
Nel cuore di Bruxelles, incastonata tra viali alberati che lambiscono il Bois de la Cambre, sorge un capolavoro che risplende come un gioiello ritrovato: Villa Empain. Più che una dimora, è una dichiarazione d’intenti estetica. Un manifesto di raffinatezza e rigore geometrico, concepito negli anni Trenta dall’architetto Michel Polak per il giovane e colto barone Louis Empain.
Ogni linea, ogni superficie, ogni dettaglio racconta una civiltà del vivere che ha saputo unire la sensualità del decoro al rigore della forma. Eretta tra il 1930 e il 1934, in un momento di massimo splendore del gusto Art Déco, la villa si impone come un tempio laico della bellezza, con materiali rari provenienti da ogni angolo del mondo, una palette cromatica austera ma sontuosa e una piscina riscaldata che ancora oggi, con la sua imponenza, domina l’intero complesso — la più vasta residenza privata dotata di piscina in tutta Bruxelles.
Sottratta alla banalità del tempo, Villa Empain ha vissuto molteplici metamorfosi: fu museo, quartier generale diplomatico, sede televisiva, e infine abbandonata all’oblio. Ma come tutte le opere realmente significative, ha saputo rinascere. Il suo risveglio, voluto dalla Fondazione Boghossian nel primo decennio del XXI secolo, ha restituito al mondo uno scrigno di memoria e splendore. Il restauro, meticoloso e rispettoso, è stato insignito nel 2011 del prestigioso Europa Nostra Award, riconoscimento dell’Unione Europea per il patrimonio culturale.
Attraversare i suoi cancelli in ferro battuto significa accedere a un microcosmo dove l’ornamento diventa ideologia: il marmo levigato, i soffitti cesellati, i legni esotici, i riflessi di specchi e metalli dorati disegnano ambienti di quieta opulenza, progettati per essere attraversati con lentezza e contemplazione. Il cuore architettonico dell’edificio è un atrio a doppia altezza inondato di luce zenitale, da cui si diramano spazi fluidi e silenziosi: saloni, studi, gallerie, camere dalle proporzioni perfette.
Ogni piano svela un mondo. Al livello superiore, le stanze da letto si affacciano su una galleria di colonne, ciascuna con il proprio bagno privato, come in una suite d’albergo dimenticata dal tempo. Più in alto ancora, un solarium e le stanze un tempo dedicate alla servitù. E sotto, tra caldaie e dispense, il cuore tecnico di un sogno architettonico che ha saputo essere al contempo moderno e sacrale.
Sebbene il tempo e le vicissitudini abbiano cancellato parte degli elementi decorativi originari, Villa Empain conserva intatto il suo rigore formale e la radicale innovazione geometrica che la rese, già al momento della sua inaugurazione, una delle architetture residenziali più influenti del panorama europeo. La grammatica strutturale dell’edificio, fondata su simmetrie controllate e sequenze modulari, esercitò un fascino silenzioso ma duraturo sulle generazioni successive di architetti, anticipando un’idea di eleganza in cui l’ornamento non è mai ridondanza, ma cifra del pensiero.
Ancora oggi, il visitatore più attento può cogliere la raffinatezza di scelte materiche che raccontano un dialogo tra mondi lontani e sensibilità rarefatte: i profili degli infissi esterni in ottone dorato che disegnano con precisione gli angoli della casa; le superfici interne rivestite di marmi preziosi come l’Escalette e il Bois Jourdan; le essenze lignee provenienti da latitudini esotiche — palu dall’Indonesia, manilkara dal Venezuela, accanto a nobili varietà europee come noce, quercia e palissandro. I mosaici, i vetri policromi, gli arredi oggi dispersi o reinterpretati, concorrevano a comporre un universo sensoriale in cui ogni dettaglio era concepito come esperienza estetica integrata.
In questo scenario, la materia non è più mera decorazione ma si fa «valore evocativo, potere di risonanza», per dirla con le parole di Gaston Bachelard, secondo cui l’abitare autentico nasce proprio là dove il luogo si lascia sognare. E Villa Empain, con la sua piscina monumentale, i suoi atrii di luce e i suoi materiali nobili, è uno spazio sognato prima ancora che vissuto — un laboratorio della rêverie, dove lo spirito può espandersi nei ritmi lenti del silenzio e della forma.
L’architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi sotto la luce.”
— Le Corbusier
«La villa ospitava un grande soggiorno, una sala da pranzo, quattro camere da letto, perfino una sala per la scherma, e un ampio ambiente al piano superiore che si apriva sul giardino e sulla piscina», racconta l’esperta Cécile Dubois. «È lì, secondo quanto si tramanda, che il barone amava ritirarsi con i suoi ospiti più intimi, per assaporare la luce e il silenzio, in un rito laico del tempo che passa».
Nella sua tensione tra forma e funzione, tra estetica e quotidianità, Villa Empain incarna anche quella che Adorno avrebbe chiamato la “dialettica dell’autonomia estetica”: un’opera architettonica che resiste all’immediatezza dell’utilità, e proprio per questo diventa più che mai necessaria. «L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità», scrive Adorno nei Minima Moralia. Villa Empain — con la sua eleganza muta, il suo passato frammentato e la sua risonanza culturale — è una forma di questa magia, restituita oggi al suo splendore originario e riproposta come spazio di pensiero, contemplazione e memoria.
Oggi Villa Empain è un centro culturale, una galleria d’arte, ma soprattutto una soglia: tra Oriente e Occidente, tra passato e visione. Visitandola, non si entra in una casa, ma in uno stile di vita: quello in cui l’eleganza non si ostenta, ma si riflette — come la luce sul granito levigato.
La forma è il risultato logico della funzione.”
— Robert Mallet-Stevens