La politica del figlio unico è stata introdotta in Cina nel 1979. Essa era indirizzata a contenere il tasso di crescita della popolazione. Le coppie quindi potevano avere solo un figlio.
Tale misura continuò sino al 2013.
Eleganza formale estrema, regia fredda e distaccata che si apre a improvvisi lampi estetizzanti.
Costellato da misteri che non vengono svelati, “Breve storia di una famiglia” è una sorta di “Parasite” raggelato, che incrocia l’entomologia hanekiana e la violenza asettica di molto Lanthimos. Quello che sappiamo della terribile famiglia di Yan lo conosciamo tramite i suoi racconti, non ci è dato sapere se essi siano reali o il frutto di un piano diabolico per impietosire i genitori di Tu.
Ciò che accade a quest’ultimo invece è frutto del caso o è Yan a provocarlo? La scalata sociale del protagonista è la lente d’ingrandimento che inquadra la ritualità borghese in una Cina dove il dislivello economico tra poveri e ricchi è ancora fortemente evidente. Come nel leggendario “Teorema” di Pasolini, l’approfondimento psicologico dei personaggi avviene tramite il loro relazionarsi con Yan. Quest’ultimo mette in risalto le personalità problematiche e anestetizzate dal benessere della famiglia del compagno di scuola.
Lievi tensioni omoerotiche, pulsioni violente, il desiderio di maternità castrato dai restringimenti politici, l’agiatezza borghese che in realtà è l’ambiguità borghese (Chabrol docet!). Yan riuscirà solo in parte ad insinuarsi in tali fittizi equilibri, la borghesia orientale, come quella occidentale, ha una potenza ipocrita in grado di attutire i colpi esterni. Il protagonista verrà prima inglobato nella famiglia di Tu per poi essere espulso come un corpo estraneo, sino a sparire come l’ultimo degli invisibili della società.
“Breve storia di una famiglia” è costruito su una serie di brevi sequenze, ognuna delle quali è una perla di messa in scena.
Piani fissi, carrellate, campi totali, pochissimi i primi piani, soundtrack elettronica…tali sequenze sono contenitori di allegorie e ambiguità assortite, e man mano che la narrazione procede lo spettatore si ritrova a osservare i personaggi come fossero pesci in un acquario. Creature anestetizzate dal benessere, costantemente impegnate nella loro rassicurante e ovattata routine. All’interno delle loro sicurezze c’è un figlio assuefatto dal denaro che viene sostituito da Yan, intellettualmente vivace e curioso, c’è un padre anaffettivo e iper ambizioso e c’è una madre accudente ma ancora traumatizzata dalla politica del figlio unico. Le cene tra di loro sono algide pianificazioni del futuro lavorativo del figlio, il loro appartamento è un microcosmo a sé stante dal resto del mondo.
Se in “Niente da nascondere” Haneke raccontava una borghesia europea minacciata da eventi esterni, e il discorso socio politico si faceva evidente tramite le notizie di politica estera che i personaggi ascoltavano al telegiornale, in “Breve storia di una famiglia” non vi è alcuna traccia di ciò che avviene nel mondo.
Il film racconta una realtà egoriferita. La famiglia di Tu è la metafora di un popolo che sconta ancora i peccati della sua politica deviata e deviante, ma che è disinteressato a ciò che succede nel mondo, è concentrato solo sui suoi interessi nazionali. Un’opera studiatissima, controllatissima, ma concettualmente incendiaria.
Un thriller che sembra sempre sull’orlo di trasformarsi in un horror sanguinolento, ma che preferisce la millimetrica analisi della follia del quotidiano, terrificante perché sospesa. Le plateali esplosioni di violenza vengono infatti costantemente attutite dal regista ma lavorano sorde sull’inconscio.
“Breve storia di una famiglia” crea realtà ambigue, con personaggi ossessivi/ossessionati, racconta di contesti sociali dove è labile il confine tra vittima e carnefice, tra benigno e maligno. Jianjie ci dice, come già fatto tra i tanti da Pasolini, Chabrol, Haneke, Lanthimos, che la società borghese non vuole sussulti o emozioni eccessive. Ha la missione precisa di eliminare l’estraneo, a meno che questo non sia la riproduzione fedele dell’originale.