Anul Nou care n-a fost

L’anno Nuovo Che Non Arriva

Bogdan Muresanu

Drama • 2024 • 2h 18m

Anul Nou Care N A Fost

Questo film è stato presentato a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica

Romania, 20 dicembre 1989. Mentre l’ombra del regime vacilla, sei vite — apparentemente distanti — si preparano a vivere un giorno come tanti, ignare che quel 20 dicembre segnerà la fine di un mondo.

Un regista televisivo, sotto pressione per salvare il suo show di Capodanno, si trova all’improvviso senza la sua attrice principale: la sostituzione deve avvenire in fretta, e l’unica disponibile è una giovane attrice di teatro che però non riesce a rintracciare il suo ex-fidanzato, disperso nei tumulti di Timișoara. Intanto il figlio del regista, uno studente in fuga verso la Jugoslavia, sogna di attraversare il Danubio a nuoto. Il controllo su di lui è affidato a un agente della polizia segreta, che a sua volta tenta di sistemare la madre cacciata da un appartamento destinato a essere demolito, e trasferita in un nuovo alloggio dal quale però non riesce a ricavare conforto. E ancora: un operaio si trova ingaggiato proprio per il trasloco della donna, ma viene travolto dal panico quando scopre che suo figlio, con una letterina inviata a Babbo Natale, ha espresso un desiderio apparentemente innocente — che suona più come un desiderio di morte per il tiranno che ha spinto il paese nella paura.

Questi singoli destini, sospesi fra quotidianità e angoscia, convergono in una tragica commedia di vite in bilico: sotto lo sguardo costante e invisibile della polizia segreta, la precarietà diventa resistenza, la speranza si mescola al terrore. In un crescendo di tensione che trasforma l’assurdo in catastrofe, e le piccole verità in detonatori, il film costruisce un grande affresco: l’ultimo atto di un regime prossimo al collasso, raccontato attraverso l’umanità minuta — eppure potentissima — di chi vive nell’ombra del potere.

Con delicatezza e durezza insieme, il film racconta non la grande storia ufficiale, ma i piccoli frammenti di esistenza che restano — vite normali che, per una lettera, un sogno, una decisione, diventano parte del crollo di un impero.

Recensito da Beatrice 01. December 2025
Dove tutti mentono, nessuno si fida più di nessuno. E così il potere può governare indisturbato.
Hannah Arendt

Ci sono film che scivolano leggeri come una cartolina natalizia e altri che, invece, usano la neve come carta vetrata. L’anno nuovo che non arriva appartiene saldamente alla seconda categoria: un racconto che parla del Capodanno come di un miraggio burocraticamente negato, un diritto sospeso tra l’inerzia dello Stato e la tenacia infantile. Mureșanu, con la sua regia asciutta e minimalista, costruisce una parabola sulla pazienza dei vivi intrappolati nella logica dei poteri che regolano i morti.

Intreccia sei esistenze “minori”: tutte vite ordinarie, segnate da speranze piccole — un appartamento accogliente, una fuga verso la libertà, una recita natalizia — ma sospese sul crinale dell’abisso politico. Quel confine tremolante tra “vita normale” e “catastrofe annunciata”.

L’opera si muove come un trattato esistenziale travestito da fiaba: la vita, qui, non fluisce ma ristagna; il futuro non arriva, resta sospeso come un pacco smarrito. L’onnipresente apparato burocratico – impersonato da funzionari che sembrano usciti da un gabinetto kafkiano dove la luce al neon ha smesso di funzionare – recita la parte di un oracolo stanco, incapace di prevedere perfino il cambio della data. Mureșanu osserva questi meccanismi con sarcasmo misurato: non c’è caricatura, ma una malinconica comicità che affiora nei dettagli – gli annunci ripetuti, i moduli inutili, le scuse sempre uguali.

Il film non veste i suoi protagonisti da eroi sovrumani: si tratta di gente che pianta cartelloni, cambia appartamenti, scrive lettere a Santa, organizza show di fine anno. Ma è proprio in questa “normalità distorta” che Mureșanu trova la sua potenza narrativa — come un grottesco teatro dell’assurdo in cui l’intero sistema viene smascherato.  

E quando, finalmente, sull’onda disordinata della Storia, scoppia un petardo — nelle mani di una coppia improbabile — e la rivoluzione esplode, è come se la banalità di tutte quelle esistenze si sollevasse in una vibrazione collettiva: la fine di un mondo, e l’inizio di niente di garantito. 

Politicamente, il film è una fiondata elegante: ci ricorda come i poteri forti sappiano fare ciò che fanno da sempre – trasformare l’attesa in un metodo di controllo. Se il nuovo anno non arriva, il vecchio rimane. E con lui, rimangono i suoi riti vuoti e le sue promesse congelate. La festa diventa così un esperimento sociale di immobilità forzata, un capolavoro di stagnazione organizzata.

Come in ogni dittatura — e come in certi regimi contemporanei sotto mentite spoglie — il potere sopravvive sulla menzogna, sulla paura, sul controllo del silenzio. Eppure, in un sistema del genere, persino una lettera ingenua a Babbo Natale può diventare atto di sovversione, un gesto di verità che scuote le fondamenta.
 
Le dittature si fondano sul non detto. La verità è un atto di vandalismo.
Danilo Kiš

Il film è un monito. È la denuncia che i “regali” che chiediamo — libertà, dignità, umanità — non arrivano mai da chi sta in alto: devono nascere dal basso, dal coraggio di chi osa scrivere, parlare, sperare.
In questo senso, L’anno nuovo che non arriva diventa una parabola universale: sull’abuso, sulla cecità del potere, sulla fragilità di chi sogna. Ma anche sulla potenza — quasi comica, quasi parossistica – di chi detiene il potere, ignaro in malafede, di tutto quello che può accadere. 

Ogni forma di potere è una caricatura di sé stessa.
Emil Cioran
 
La libertà non si conquista: si riconquista.
Mircea Eliade

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