“Chi non ama la solitudine, non ama neppure la libertà, poiché soltanto quando si è soli si è liberi.”
Arthur Schopenhauer
Adriano Sereni è un uomo introverso e ruvido, relegato in una sorta di esilio volontario tra le mura consunte di Villa Guelfi, dimora nobile ridotta a un’eco del passato. La sua esistenza scorre lenta e uguale, tra il rituale del sigaro e la stanchezza di giornate che non lasciano traccia. L’irruzione di un gruppo di giovani — studenti e neolaureati che decidono di restituire alla campagna circostante la vitalità perduta — incrina quel silenzio difensivo che Adriano aveva costruito intorno a sé. Infastidito da quell’entusiasmo rumoroso, inizialmente tenta di respingerli, ma la presenza di Matilde, nipote dell’antico proprietario della tenuta, lo costringe a confrontarsi con un passato che avrebbe voluto seppellire. Matilde, cresciuta tra quelle vigne, guarda l’uomo con una curiosità priva di paura: intuisce in lui una fragilità antica, un dolore non risolto. Col passare delle stagioni, lo scontro tra il disincanto dell’uomo e la vitalità dei ragazzi si trasforma in una forma di convivenza incerta ma necessaria, dove la diffidenza lascia spazio a un legame tenue, fatto di gesti minimi e mutua sopravvivenza.
Una commedia drammatica sul filo dell’istante che cambia ogni cosa. Al centro della storia c’è una famiglia apparentemente serena, la cui quotidianità viene sconvolta da un episodio improvviso — cinque secondi esatti che bastano a spezzare un equilibrio costruito negli anni. Da quel momento, il film segue i personaggi nel tentativo di ricomporre i frammenti, tra tensioni generazionali, desideri taciuti e la ricerca di una nuova forma di affetto possibile. In questa cornice, Virzì alterna toni malinconici e lampi di ironia, trasformando un fatto minimo in una riflessione più ampia sul tempo, sulla responsabilità e sull’impossibilità di fermare ciò che muta.
Sul piano tematico, 5 secondi si presenta come una favola “fricchettona”, con vene anti-patriarcali che cercano di mettere in discussione l’idea della famiglia tradizionale. Virzì mostra una propensione ad emancipare certi ruoli femminili e a smontare stereotipi maschili, impugnando il ritratto di famiglie convenzionali con un taglio critico. Tuttavia, non tutto il meccanismo funziona: il film finisce con l’adottare, per certi versi, uno sguardo vagamente misogino nei confronti della cultura femminile borghese. Alcune donne vengono raffigurate come stereotipi viventi di riti sociali, illusioni estetiche e pressioni invisibili, più che come soggetti profondi in grado di emanciparsi realmente da quegli schemi. Questo creare di contrasti determinati, certo ricchi di spunti, resta però in larga misura superficiale, delegato più al suggerimento che alla decostruzione radicale.
Dal punto di vista interpretativo, Valeria Bruni Tedeschi offre come sempre una prestazione degna di nota: credibile, complessa, folle nella giusta misura, capace di equilibrare protezione e fragilità con delicatezza. È lei che tiene le redini emotive del film. A suo fianco, Galatea Bellugi ormai consolidata come volto cinematografico imprescindibile: la sua recitazione sorprende e persuade, mostrando sia innocenza che una tensione interiore che le dona spessore e la sceneggiatura le conceda lo spazio necessario per esplorarsi davvero.
Per quanto riguarda la forma, 5 secondi è un film piacevole: alterna momenti drammatici a sequenze divertenti, vi è qualche guizzo emotivo genuino che coinvolge lo spettatore. Eppure, la godibilità del racconto è spesso esteriore: troppe scene si percepiscono come costruite per piacere facile, per banalità consolatorie, per ritmo televisivo. Manca quella tensione sottile che caratterizza i migliori lavori di Virzì, quel non-detto che spinge a riflettere più a fondo. Lo stile, seppur elegante, resta troppo compiacente con le aspettative del pubblico: il colore giusto, la battuta azzeccata, il colpo di scena ordinato, la morale demi-ufficiale.
Un film che si muove tra buone intenzioni e un eccesso di prudenza autoriale. Si guarda con piacere, sostenuto da interpretazioni solide e da qualche lampo di verità emotiva, ma non riesce a emanciparsi da un linguaggio cinematografico ormai troppo familiare, troppo conciliatorio. È come se Virzì avesse scelto di non rompere il proprio equilibrio, offrendo una storia che accarezza le contraddizioni invece di attraversarle davvero.
“Il nemico non sono gli uomini. Il nemico è il concetto di patriarcato inteso come modo di governare il mondo o di fare le cose.”
Toni Morrison