Hen

Hen

György Pálfi

Drama • 2025 • 1h 36m

Questo film è stato presentato a Roma film fest

Come nasce un uovo? Semplice: nasce, viene preso, impacchettato, venduto, digerito – fine della storia. Ma Hen (2025) decide di ribaltare la catena alimentare del pensiero e chiederci: e se quell’uovo fosse il frutto di un desiderio, di un corpo, di una coscienza non meno viva della nostra? Inizia così il viaggio tragicomico e irresistibilmente lucido di una gallina che, con velleità di autonomia degne di un filosofo esistenzialista, fugge dal suo allevamento per affrontare il mondo – animale e umano – che la circonda, o meglio, che cerca di schiacciarla con efficienza produttiva e indifferenza morale.

Recensito da Beatrice 16. October 2025
La nostra incomprensione della vita animale è racchiusa tra questi due estremi: gli allevamenti intensivi e lo zoo.
Fabrizio Caramagna

È un’eroina per caso, un volatile con un sogno impossibile: riprodursi. Ma come farlo, se ogni giorno un uomo le ruba il frutto del ventre e un gallo le infligge la sua “musica “– la versione grottesca del Bolero di Ravel, ripetuta in loop come tortura erotico-industriale? Così, privata del suo uovo e della propria libertà, la gallina si rifugia sotto un letto, mentre una bambina ignara mangia Nutella e guarda cartoni animati con pulcini felici: parabola perfetta di un’umanità che consuma la vita mentre crede di amarla.

Fuggendo, la gallina attraversa paesaggi umani e animali dove il confine tra innocenza e crudeltà si fa ridicolo: mercati clandestini, incendi, incidenti. Sì, perché il suo uovo – simbolo della maternità negata – finirà per causare un incidente mortale, quasi a ricordarci che ogni forma di vita oppressa trova il modo di esplodere. Il mondo di Hen è un “mondo di rugiada eppure eppure”: fragile, brillante, continuamente sul punto di dissolversi.

Nikos, disonesto come tutti, o forse solo umano come il gallo che morirà sotto la sua motocicletta: “Morto un gallo se ne fa un altro”, direbbe la saggezza popolare, ma qui la frase suona più come un requiem dell’indifferenza.

 Nel ristorante sul mare, che nascerà in virtù di quel vecchio saggio e ritroso che si è preso cura della gallina, la gallina aveva trovato il suo rifugio, ma ormai arrivano le Bentley con la loro criminalità implacabile. Lei, ignara, gioca con i pompon delle scarpe del boss, che la guarda come si guarda un piatto da servire: “Portami qualcosa di fresco”, ordina, subito dopo aver dato un pezzo di pollo alla gallina stessa. “Non esitano a mangiarsi a vicenda”, commenta, e non ha torto: nel mondo umano la cannibalizzazione è pratica quotidiana, solo più elegante.

Quando il cane abbaia, lo uccidono. Il vecchio saggio viene abbattuto, e la gallina lo becca, non per pietà ma per capire se è vivo: un gesto quasi scientifico, come se volesse misurare la vita con la punta del becco. È una favola di Esopo riscritta per il XXI secolo, con una morale corrosiva: la natura osserva, l’uomo distrugge, e chi resta si adatta.

Ma alla fine, dopo il caos, gli incidenti e le canzoni d’amore (“I tuoi occhi scuri mi fanno battere il cuore all’impazzata…” – suona mentre lei incontra un nuovo gallo), arriva la rivincita. Dalle ceneri di quella lotta nascono i pulcini: piccoli, fragili, vivi. La gallina, martire e madre, sorride – o almeno così sembra – e finalmente si prende la sua rivincita. La resilienza, per una volta, ha la forma di un battito d’ali.

Hen è una specie di miracolo cinematografico: un film che parla di una gallina come se parlasse dell’essere umano, e dell’essere umano come se parlasse di un pollaio. Pálfi e Ruttkay, con un coraggio quasi comico, decidono di fare il contrario di ciò che ci si aspetta: rendere sublime il banale, poetico l’animale, politico il quotidiano.

Il risultato è una parabola beffarda e visionaria sulla catena della vita e della produzione. L’allevamento industriale, con i suoi neon freddi e la sua disciplina perfetta, diventa la metafora del lavoro moderno: tutti producono, nessuno si riproduce. Ogni uovo tolto alla gallina è un sogno sottratto a chi ancora crede che il mondo si possa cambiare.

La fuga della protagonista, che attraversa stalle, autostrade e cucine di ristoranti, è un’odissea esistenziale e, insieme, una satira del progresso. Gli umani che incontra – l’anziano che la salva, Nikos il disonesto, la bambina distratta, il boss affamato – sono archetipi del potere, dell’innocenza e della fame di controllo. Tutti, in fondo, hanno lo stesso sguardo.

Esteticamente il film è una meraviglia: la macchina da presa segue la gallina come un profeta segue un segno divino. Ogni piuma è una riflessione sulla sopravvivenza, ogni beccata una domanda sulla coscienza. 

E poi ci sono le morti assurde – tutto ruota attorno a quell’uovo che, come un dio minore, provoca catastrofi e rinascite. Ma nessuno, neanche per un istante, ha l’impressione che sia tragico: c’è un’ironia cosmica, quasi divina, che aleggia sul film. Tutti muoiono, sì, ma con stile. E quando finalmente arrivano i pulcini, non si può non sorridere: la natura, nonostante tutto, vince.

In fondo, Hen risponde con saggezza antica alla domanda più inutile e più necessaria di sempre: “viene prima l’uovo o la gallina?”.
La risposta, qui, è ovvia: viene prima la gallina. Perché senza di lei, senza la sua follia e la sua ostinazione, l’uovo non ci sarebbe.

Ma…
Il tempo è come un uovo e la vita è come una gallina che depone quell’uovo.
 Murray Schisgal
 

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