In die Sonne schauen

Sound Of Falling

Mascha Schilinski

Drama • 2025 • 2h 29m

In Die Sonne Schauen

Questo film è stato presentato a Torino Film Festival 2025

In una vecchia fattoria della regione dell’Altmark, quattro giovani donne — Alma, Erika, Angelika e Lenka — vivono, in epoche differenti del secolo scorso e dei nostri giorni, stagioni di vita che sembrano separate dal tempo eppure inevitabilmente legate. La casa, con le sue stanze narranti, corridoi che conoscono passi muti, fotografie sbiadite, fragili pareti che accumulano silenzi, diventa spazio‑contenitore delle loro piccole e grandi tragedie: sofferenze, traumi, segreti, rituali familiari, desideri proibiti, abusi non detti o appena accennati. La struttura narrativa rifiuta la linearità: le vite si infrangono, tornano, riecheggiano, sovrapponendosi come ombre che attraversano lo stesso suolo, respirando lo stesso vento — ma in epoche diverse. Così, passato e presente dialogano in un’eco continua di corpi e memorie, di dolori che si ereditano, di vite che cadono e ricadono su quel terreno, ancora e ancora.

Recensito da Fabian 28. November 2025
I fantasmi che ereditiamo non muoiono mai: richiedono solo di essere riconosciuti.
Sigmund Freud
 
 
Dal punto di vista tecnico e stilistico, Sound of Falling appare come un’opera compiuta con la meticolosità di un artigiano devoto. La regia di Mascha Schilinski si manifesta in ogni inquadratura come un tableau vivo: la fotografia di Fabian Gamper, organizza lo spazio in cornici claustrofobiche e allo stesso tempo stranianti — ogni quadro sembra un’istantanea sospesa, un ritratto di anime imprigionate. Le luci, le ombre, i rumori — sussurri, scricchiolii, suoni ovattati — la colonna sonora — rarefatta, ipnotica — insieme costruiscono un’atmosfera che più che raccontare, induce ad un continuo stato di tensione. Non si tratta di un film che “mostra”, ma di un film che “fa sentire”: un’esperienza sensoriale e metaforica in cui corpo, spazio, tempo, memoria si contaminano. 

Anche il cast obbedisce con rigore allo spirito dell’opera: volti e corpi che portano su di sé epoche, ferite, attese, e che paiono animati da fantasmi interiori più che da parole. I passaggi temporali, le elissi narrative, la mescolanza di soggettive e visioni oniriche trasformano la fattoria in un labirinto psicologico e metafisico, in cui il tempo cessa di essere una linea per diventare un cerchio di ritorni e ripetizioni. 

Eppure — ed è qui che il film, nella sua grandiosa ambizione, inciampa — tutta questa cura formale si risolve in un esercizio più celebrativo del proprio stile che reale necessità espressiva. Il disegno narrativo, frammentato e spesso allusivo al limite dell’indistinto, rischia di diventare un labirinto fine a sé stesso: gli intrecci tra generazioni, i simboli, le atmosfere spettrali non sempre convergono in un discorso morale o esistenziale chiaro, ma restano come ombre che, pur perfette formalmente, non esplicitano nulla. Non c’è un vero centro emotivo: i drammi sembrano suggeriti, mai mostrati; le tensioni restano spesso in sospeso; la punizione, la redenzione, la comprensione restano fuori campo. Il risultato è un film che — per usare un paragone filosofico — contempla la propria bellezza come se questa potesse bastare a dare senso al dolore che pretende di rappresentare.

In questo senso, Sound of Falling finisce per incarnare quel tipo di cinema piuttosto autoreferenziale. Un’opera girata in modo magnifico, un’ambizione estetica radicale che rischia di nascondere un vuoto sostanziale alla ricerca dell’autocompiacimento artistico più che mettere in gioco un’interrogazione sincera dell’umano, della violenza, della memoria.

Sound of Falling sa essere un’opera d’arte visiva che rischia di rimanere uno specchio convesso: bello da guardare, ma distorcente, capace di restituire immagini potenti senza dar loro un peso che davvero conti.

La regista sembra guardare a Il nastro bianco di Haneke come a un possibile modello: la comunità rurale come microcosmo chiuso, la violenza ereditaria che circola senza essere nominata, il silenzio come dispositivo narrativo. Anche Sound of Falling adotta una messa in scena rigorosa, fatta di sottrazioni, ellissi e ambienti che trattengono memorie oscure. Tuttavia, mentre in Haneke il rigore formale è un atto etico — un modo per dissezionare la radice del potere e della colpa — nell’opera di Schilinski questo rigore si trasforma spesso in puro stile, in un’estetica della sospensione che finisce per contemplare sé stessa più che il mondo che vorrebbe interrogare.

Il tempo è un assassino che non si sporca mai le mani.
Emil Cioran
 
 
 

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