La Casa di Cini Boeri

La Casa Di Cini Boeri

Maddalena Brenaghi

Documentary • 2024 • 1 hours

Un’opera che trascende il semplice profilo biografico per trasformarsi in un’indagine profonda sul senso della “casa”, del “luogo” e del “progetto”. Attraverso immagini, voci intime, e archivi, il film costruisce un ritratto polifonico di una donna che ha saputo abitare – nel doppio senso del termine – il Novecento, muovendosi con grazia e forza in spazi che spesso negavano la sua presenza.

Recensito da Beatrice 11. October 2025
Quando mi sono laureata, nel mio corso c’erano solo altre due donne. Era un mondo chiuso, dominato dagli uomini, ma non ho mai pensato che dovessi chiedere il permesso di esserci.
(Cini Boeri)
 
Il documentario si dispiega su due binari paralleli: da un lato, la memoria esterna — testimoni, amici, colleghi, parti dell’Archivio, interviste — dall’altro, la voce, meno consueta, della stessa Cini Boeri, che emerge in dialoghi e filmati d’epoca. Questo doppio registro è essenziale: non si tratta solo di raccontare qualcosa, ma di far risuonare la soggettività, di restituire non solo i fatti ma il modo in cui quei fatti sono stati percepiti, vissuti.
 
Il montaggio dei luoghi — l’appartamento milanese in Piazza Sant’Ambrogio, la casa rotonda e la casa bunker alla Maddalena, la Casa nel Bosco tra le betulle — crea una geografia intima che si collega a oggetti, mobili, progetti: l’architettura domesticata e insieme radicale, l’oggetto che abita, accoglie, sorprende. Così il design diventa gesto politico: la casa non è solo rifugio, ma ribellione contro l’austerità spaziale, contro la rigidità degli ambienti borghesi.
 
Cini Boeri non è solo architetta: è una pioniera che attraversa il secolo come soggetto politico. Figlia di un’epoca in cui le regole del vivere domestico, sociale, accademico erano rigidamente segnate dal genere maschile, riesce a inserirsi, a creare spazi che sfidano la norma, che consentono autonomia. Il documentario insiste su questo: sulla rottura dei pregiudizi, sulla tensione tra collettivo e individuale, sulla casa non come muro stabilito ma come orizzonte di libertà.
 
Vi è anche una riflessione implicita sui tempi storici: Milano fascista, il dopoguerra, il boom, i fermenti sociali, culturali. In questo contesto, la figura di Boeri emerge come quella di chi “fa spazio” dove lo spazio non era pensato per lei — e lo fa non chiedendo permessi, ma progettando.
 
 
Fondamentale è l’albero genealogico che costituisce lo sfondo affettivo e morale del racconto. Maria Cristina Mariani Dameno (Cini) nasce in una Milano che è già città del “sapere” e del cambiamento. Il padre, Renato Boeri, neurologo e partigiano, il nonno coinvolto nel Partito d’Azione: un pedigree politico che modella una sensibilità profondamente democratica. Il matrimonio, i figli – Sandro, Stefano, Tito – sono interlocutori non secondari: non solo testimoni ma attori del racconto, custodi della memoria.
 
La famiglia non appare come rifugio nostalgico ma come luogo di conflitto, di scelte, di vita quotidiana vissuta con urgenza etica. Boeri mantiene il suo cognome, anche quando il matrimonio si allontana, e ciò dice di una dignità che non si piega, del voler essere riconosciuta, del voler conservare la propria identità.
 
Tra gli oggetti che emergono con forza ci sono il divano Serpentone, la poltrona Bobo, la lampada Papero, Lucetta, gli “Strips”, le “Pecorelle”, il Botolo. Non sono mero arredo: sono manifesti di un’idea di vita domestica più umana, più fluida, più libera. Anche le architetture accomunate dal rapporto con il panorama, con la natura — la casa bunker sugli scogli della Maddalena, la casa che gira attorno agli alberi — testimoniano un pensiero in cui l’architettura non doma, ma dialoga.
 
 
La casa di Cini Boeri è artefatto culturale di alta intensità. Non solo celebra: interroga. Non solo mostra case, oggetti, successi: ma chiede cosa significa abitare, essere, progettare, nella tensione tra libertà individuale e responsabilità sociale. Cini Boeri emerge come pensatrice dello spazio, architetta della libertà.
 

L’architettura è particolarmente difficile per le donne — e non c’è motivo che lo sia. Non voglio dare la colpa agli uomini o alla società, ma per molto tempo i committenti erano uomini, e l’intero settore edilizio è sempre stato maschile.
(Zaha Hadid)
 
 
 

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