Laghat – Un sogno impossibile

Laghat – Un Sogno Impossibile

Michael Zampino

Drama • 2025 • 1h 45m

Questo film è stato presentato a Torino Film Festival 2025

Il film racconta la storia di Andrea, un giovane di 21 anni che ha mollato la sua carriera da fantino e lavora con suo padre, un antiquario coinvolto in affari loschi. Un incontro casuale con Tony — un vecchio allenatore che crede ancora in lui — riaccende in Andrea il desiderio di tornare in pista. Ma l’unico cavallo a cui ha accesso è Laghat: un purosangue dotato ma gravemente menomato nella vista. Contro ogni pronostico, Andrea decide di provare: inizia per entrambi una sfida che è tanto sportiva quanto umana. Attraverso questa relazione fatta di fiducia, ascolto, fallimenti e riscatto, Andrea avvia un percorso di crescita personale, cercando una propria identità.
Laghat era un purosangue inglese che, da puledro, venne colpito da una malattia agli occhi (una micosi) che lo lasciò praticamente cieco — cieco da un occhio, e con vista quasi nulla nell’altro. Nonostante questo handicap gravissimo — che per molti avrebbe segnato la fine della sua possibile carriera da corsa — Laghat è riuscito a correre, diventando un caso straordinario: nella sua carriera agonistica ha disputato circa 123 gare. Di queste, ha vinto 26 corse.  Dopo il ritiro dalle corse (2015) il cavallo è sopravvissuto e ha continuato a vivere nel suo paddock; la sua vicenda è stata raccontata in un libro per adulti e bambini, e adesso in un film.

Recensito da Beatrice 26. November 2025
La forza non è mai ciò che sembra.
Simone Weil

Ciò che colpisce in Laghat non è tanto la spettacolarità dell’ippica, quanto la profondità del suo sguardo alternativo. Laghat non è “normale”: è un cavallo che “non vede”completamente. Eppure — come nella vicenda vera a cui si ispira — riesce a correre, a vincere, a essere “fuoriclasse”. 

Così come Laghat, anche Andrea è un ragazzo particolare: ha abbandonato le corse, è scivolato in un contesto grigio (il negozio di antiquariato del padre, ombre di affari loschi), che tuttavia gli consente una bella auto e un discreto benessere economico. Il ritorno in pista non è promessa di gloria, ma di rinascita esistenziale. La combinazione — giovane idealismo spezzato insieme al cavallo “scartato” dalla norma — diventa la materia di un racconto sulla possibilità di rimodellare ruoli, immaginari, aspettative sociali.

LAGHAT sfida l’ordine dell’efficienza, della norma, della prestazione “perfetta”.
L’azione scenica — la corsa, gli allenamenti, la pista — si trasforma in simbolo di comunione. Non è la velocità o la vittoria a contare, ma la capacità di costruire un linguaggio condiviso: Andrea e Laghat imparano a comunicare attraverso ritmo, tatto, fiducia. In questo processo la disabilità non è un ostacolo da nascondere né da “normalizzare”, ma una condizione che richiede tempo, attenzione, rispetto — e che rivela un senso diverso di performance: non più dominio e conquista, ma cura.

Dietro la vicenda sportiva si stagliano conflitti di natura antropologica e sociale: Andrea vive all’ombra di un padre autoritario e ambiguo e con un fratello, rozzo e violento. L’incontro con una Giulia, una groom della scuderia, autonoma, forte, dura e indipendente, funge da ancora emotiva per Andrea.

La relazione con Tony — l’ex allenatore — rappresenta un ponte tra il passato e una possibile autentica alternativa, ma non offre certezze: è un’opportunità difficile, fragile, che si potrà tradurre in rinascita solo attraverso sacrificio, fiducia e cambiamento interiore.

Pur radicato in una vicenda vera — quella di un cavallo realmente cieco capace di vincere grandi corse — LAGHAT non sembra puntare al racconto documentaristico, ma al dramma esistenziale: lo sport diventa campo di battaglia interiore, la corsa un rito di passaggio, il fantino e il cavallo protagonisti di una trasformazione metaforica. 
Non è la grande vittoria che importa, quanto la possibilità stessa della corsa: la volontà di tentare, di fidarsi, di credere nell’“impossibile”. In questo senso, il film assume la forma di un’allegoria contemporanea sulla fragilità, l’emarginazione, la bellezza nascosta dell’anomalia — sul valore di ciò che non è perfetto: il talento.
 
C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce.
Leonard Cohen 
 
 
 

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