Siamo tutti molto più soli di quanto vorremmo ammettere, e forse è per questo che cerchiamo di essere così rumorosi online.
Jodi Picoult
l film di Oscar Boyson esamina, con un mood sociale e psicologico il dramma sociale, la condizione dei giovani negli Stati Uniti contemporanei: un mosaico di privilegi apparenti e vulnerabilità nascoste, solitudine, slancio prestazionale e nichilismo latente.
Balthazar incarna la gioventù agiata che ha tutto eccetto ciò che conta: un padre di fatto assente, una madre distratta da relazioni e ambizioni esterne, una vita implosiva dietro facciate dorate. Il ragazzo vive in un appartamento dove vede il Met dall’alto, va in una scuola di élite, ha un personal coach, ma quando la madre decide di trascorrere il weekend altrove (pur nel giorno del suo compleanno) e lui resta solo, si rende conto che la ricchezza non equivale a presenza, affetto, comunità. La sua ricerca di visibilità tramite video più che un inganno si rivela un grido d’aiuto, un tentativo di darsi un’identità, essere visto, sentirsi importante. Ma in questo tentativo il film ci mostra quanto la performance social sia sostitutiva della relazione reale. Il privilegio che Balthazar ha lo rende isolato: chi gli è vicino lo ammira, lo teme, ma non lo tocca. È circondato eppure solo.
Solomon rappresenta l’altra faccia della medaglia americana: vive con la nonna in una mobile home o trailer-park, lavora in un supermercato, a e ha un padre senza scrupoli, che ricompare solo per sfruttarlo, ricavarne qualche soldo. Qui la solitudine assume contorni più aspri: non è solo mancanza di affetto, è mancanza di risorse, di prospettive, di qualunque genere di possibilità, altro che “american dream”! Il ragazzo è in bilico tra rabbia e invisibilità, e in quella invisibilità si rifugia l’idea della strage – un atto estremo per essere “visto” o “temuto”. Il film coglie bene come la disponibilità di armi – in un contesto culturale e legislativo statunitense – generi un rischio reale: un giovane disperato ha gli strumenti per tradurre la rabbia in tragedia.
Uno degli snodi centrali del film è il modo in cui l’era dei social network amplifica la solitudine e al contempo crea illusioni di connessione. Balthazar posta, commenta, va in diretta, ma il feed non corrisponde al vissuto. Solomon naviga tra meme, troll, chat oscure, e tutta la tensione cresce in una bolla virtuale in cui la performance sostituisce il dialogo. La visibilità può diventare panacea e trappola: da una parte la voglia d’essere riconosciuti, dall’altra l’ossessione di esserci sempre, con il rischio di precipitare in un realtà parallela. In un ambiente dove una scuola è già attrezzata per un eventuale amok-sparatoria la solitudine giovanile diventa potenziale detonatore.
In questo senso la questione delle armi non è tema secondario: diventa metafora e realtà. Nell’America del film le armi sono facili da reperire, La ricchezza non cura l’abbandono, la povertà non immunizza dal desiderio di esplosione. Le scuole sono ormai abituate a gestire “lockdown drills”, cioè esercitazioni anti-sparatoria. In ogni istituto esiste un “school safety office” o un “safety officer”: una figura o un reparto dedicato alla sicurezza interna, spesso in collaborazione con la polizia e i ragazzi vengono addestrati a reagire a un’eventuale sparatoria.
In una società che ha smarrito il senso della realtà: la vita è individuale, privata, visibile-immagine. E quando il legame sociale, l’empatia, la socialità vengono meno, l’arma diventa l’ultimo strumento della manifestazione individuale.
Cosa significa essere visti? Cosa vuol dire contare? Qual è il valore dell’altro quando l’altro è un’entità digitale? Quale spazio rimane per la vulnerabilità, per l’errore, per l’affetto? Balthazar e Solomon, ciascuno a modo suo, ci sono dentro: il primo cerca di dimostrare di essere “eroe”, l’altro contempla la distruzione come via per l’esser visto. Il bambino ricco e il ragazzo povero diventano due poli di una stessa condizione di disaffezione: l’una meno visibile ma ugualmente pericolosa.
Un film sulla “gioventù” americana: frammenti di classe, frammenti di identità, frammenti di realtà. La ricchezza non assorbe la solitudine, la povertà amplifica il rischio. I social costruiscono l’illusione del legame e la disponibilità di armi struttura la possibilità della tragedia. Non è un film moralista in modo didascalico, ma una riflessione amara: la “cultura del trauma” diventa sistema, la visibilità diventa merce, l’isolamento una condizione diffusa.
Il film colpisce per la sua lucidità nel guardare l’America contemporanea senza accomodamenti: la regia nervosa, l’ambientazione che va da Manhattan ai trailer-park del Texas, l’uso costante del linguaggio digitale e delle chat, rendono la rappresentazione verosimile e disturbante. Ma non è solo “cronaca”, è discorso: cosa stiamo diventando quando la connessione è un feed, la riconoscenza un like, e la presenza un commento? Quando la “scuola protetta” può comunque essere teatro di una strage appare come paradosso logico – ma anche morale.
E se il titolo dichiara “eroe”, ci si chiede: chi è l’eroe oggi? Colui che riprende per Instagram la sua protesta? Colui che minaccia la violenza per essere finalmente “veduto”? Il film rovescia ingenuamente l’immagine del teenager attivo e virale e mostra che, dietro l’eroe del feed, c’è un corpo solo, abbandonato, spaventato. Che la forza dirompente può essere orientata verso il bene – o verso l’annullamento.
L'America non è una democrazia, è un'oligarchia con un pizzico di democrazia per calmare le masse.
George Carlin