Predator: BadLands

Predator: Bad Lands

Dan Trachtenberg

Fantasy • 2025 • 1h 47m

Dek (interpretato da Dimitrius Koloamatangi) è un giovane Yautja che per via del suo fisico meno corpulento rispetto agli altri membri del clan è considerato un debole, un reietto.
Decide dunque di dimostrare il suo valore tentando di uccidere uno dei predatori più temuti della galassia.  
Durante la sua caccia incontrerà Thia (interpretata da Elle Fanning), una sintetica della Weyland-Yutani (stessa organizzazione presente nell’universo cinematografico di Alien di Ridley Scott, sancendo così, ancora una volta, l’unione dei due mondi) e molte altre creature più o meno aggressive, passando così da predatore a preda.

Recensito da Achille 06. November 2025
Predator: BadLands si presenta come il nono film del franchise, nato nel 1987 con il primo Predator diretto da John McTiernan, e come il terzo prodotto della saga realizzato da Dan Trachtenberg, che ha diretto gli ultimi due prodotti della saga (Prey, un prequel, e Predator: Killer of Killers, un corto animato).
In quest’ultima pellicola Trachtenberg, per forza di cose, modifica radicalmente il basamento della narrativa, spostando il punto di vista della narrazione dall'essere umano all’alieno, dal protagonista all’antagonista, da ciò che ci è familiare a ciò che ci è estraneo.
Abbandona la faida uomo-alieno, accompagnata da un alto livello di tensione e da un’atmosfera horror ben percepita, che lo rendevano di fatto un sci-fi horror, per approdare invece definitivamente nel mondo fantascientifico.
 
La mancanza del genere umano non è l’unica differenza rispetto ai suoi precedenti. Infatti, siamo ben lontani dagli Yautja alti, robusti e minacciosi; Dek, lo Yautja protagonista, è più basso, minuto e con una tecnica di combattimento ancora da perfezionare rispetto agli altri componenti del suo clan e, dunque, debole, inferiore, inadeguato. O così ci vuole far credere suo padre, che, come ultima chance per dimostrare il suo potenziale, affida al figlio il compito di uccidere il Kalisk, creatura del pianeta Gemma, che si racconta non possa morire.
Nel raggiungere il suo obiettivo, Dek formerà il proprio clan, composto da un androide smembrato e da una scimmia blu, e capirà che essere un alfa non vuol dire essere il predatore più spietato, ma piuttosto colui che è in grado di proteggere gli altri, i più deboli. 
Predator: Badlands rinnega l'ideale di eroe muscoloso, inarrestabile, caparbio e, soprattutto, solitario, adattandolo al modello moderno: imperfetto, emotivo, che non si realizza pienamente nelle vittorie del singolo, ma come colonna portante del gruppo. 
 
Per alcuni dei fan più affezionati della saga, questa “modernizzazione” aliena potrà sembrare l’ennesimo tentativo odierno di smontare personaggi leggendari, rinomati per i loro successi e la loro impeccabilità, mostrandone il lato più “difettoso” e rendendoli quindi più vicini al pubblico e facilitandone l’immedesimazione. 
Tuttavia, un occhio più attento si renderà conto che già dal capostipite della saga certi valori e insegnamenti erano il fine simbolico della pellicola: Dutch, protagonista del primo film e incarnazione della percezione di invincibilità americana post guerra, solo mettendo da parte i suoi bicipiti, la sua forza bruta, la sua impulsività, e, invece, servendosi di pazienza e astuzia, caratteristiche tipiche del suo nemico, riuscirà a primeggiare su quest'ultimo. 
Predator non è mai stato un’ostentazione della mera violenza, nonostante l'abbondante presenza di quest'ultima, ma piuttosto la creazione di una creatura che incarnasse il detto: “Il cervello batte i muscoli”.
 
Da evidenziare è anche il world building, creativo, surreale ma allo stesso tempo convincente, che dà vita ad un pianeta alieno ma inspiegabilmente familiare curato in ogni dettaglio. Il viaggio di Dek infatti non è unicamente figurativo, interno, ma è anche fisico, e passo dopo passo, in un modo a lui sconosciuto tanto quanto a noi, lo spettatore alterna stupore e tensione, in una realtà in cui perfino un bruco o un fiore possono essere dei potenziali pericoli. 
 
In conclusione, l’ampliamento della saga operato da Trachtenberg si rivela ancora una volta un gesto di autentica innovazione: un processo di modernizzazione che evita con intelligenza la deriva del mero sovvertimento fine a sé stesso, per farsi invece esercizio di rinnovamento audace, capace di coniugare originalità e stravaganza.

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