Shelby Oaks è un horror soprannaturale scritto e diretto uno youtuber e critico cinematografico americano che compie il suo primo passo nel mondo della regia proprio con questo film.
Chris Stuckmann, particolarmente incline al genere horror, decide di realizzare una chimera che è figlia di uno dei generi più apprezzati degli ultimi anni: da una parte ritroviamo l’uomo che si abbandona alla tentazione, invitando il male nella propria famiglia, permettendogli di annidarsi tra un ramo e un altro dell’albero genealogico, come succede ad esempio in Hereditary, diretto dal maestro dell’horror Ari Aster; dall’altra, troviamo un’impostazione tipica del Found Footage -sotto genere dell’horror che prevede la messa in scena narrativa tramite videocassette o filmati dalla qualità scadente-. Un ibrido che su carta potrebbe anche portare a qualcosa di innovativo, ma che in pratica si dimostra velleitario.
Il modo in cui il demone ed i suoi “burattini” agiscono non è convincente ma privo di astuzia e non segue lo schema che una creatura demoniaca adotterebbe per perpetrare il suo piano malefico, pertanto scarsa credibilità persino per una storia soprannaturale.
Non convince neanche il modo in cui si comporta Mia, la protagonista, personaggio anonimo e piuttosto fake, che agisce in modo sconclusionato, costringendo lo spettatore a chiedersi se ci sia un briciolo di logica che la guida.
L’abuso di un espediente narrativo tipico dell’horror – quello della protagonista “traumatizzata, che non si rende conto di ciò che fa” – finisce per indebolire la tensione emotiva e compromettere l’immedesimazione dello spettatore.
Invece di suscitare angoscia o timore per l’incolumità di Mia, la messa in scena genera una reazione opposta: una sorta di distacco ironico, persino di irritazione, che porta a pensare “in fondo se l’è cercata”. La paura, elemento fondante del genere, svanisce completamente quando lo spettatore smette di parteggiare per la vittima e, quasi con sollievo, assiste alla sua eliminazione per mano del carnefice.
In Hereditary il rapporto famiglia-demone è abilmente realizzato, bilanciando perfettamente momenti didascalici, a momenti invece intenzionalmente ambigui che possono lasciare libera la mente dello spettatore di contemplare il limite tra reale e surreale; in Shelby Oaks mancano entrambi le componenti: l’ambiguità diventa illogicità, assurdità, e le uniche domande che lo spettatore si pone riguardano la coerenza della pellicola.
Il risultato è una sceneggiatura che sembra non svilupparsi a partire da una struttura narrativa coerente, ma piuttosto da una sequenza di episodi improvvisati, ognuno conseguenza del precedente. L’obiettivo appare limitato alla costruzione di jumpscare efficaci, i quali, pur essendo tecnicamente ben eseguiti grazie a un uso accorto dell’inquadratura e del suono, si riducono a spaventare lo spettatore solo per un istante. Ne deriva un progressivo affievolirsi dell’interesse e una sensazione di ritmo anticlimatico, con una tensione quasi del tutto assente per la restante parte del film.