Tre Ciotole

Tre Ciotole

Drama • 2025 • 2 hours

Questo film è stato presentato a Toronto International Film Festival

La vicenda, nelle sue linee essenziali, vede Marta e Antonio separarsi dopo un litigio apparentemente banale. Lei reagisce col silenzio, la fame le svanisce; lui si riversa nel lavoro, incapace di lasciarla andare. Quando Marta scopre che l’assenza di appetito è la punta minima di qualcosa di più profondo — una malattia terminale — il film cambia registro: da dramma sentimentale diventa meditazione sul corpo, la fine, il desiderio.

Recensito da Beatrice 25. September 2025
Il corpo è fragile, eppure è l’unico luogo dove viviamo davvero.
 — Friedrich Nietzsche

Un’opera di dolore e straniamento: un canto dissonante sul corpo, sulla perdita e sul tempo che rimane. Liberamente ispirato all’ultimo libro di Michela Murgia, il film intraprende una via di mezzo fra biografia ideale e narrazione simbolica, oscillando tra realismo domestico e tensione esistenziale.
Ma Coixet non mira soltanto a una narrazione lineare: il gesto delle “tre ciotole” assume, nel corso del film, una valenza rituale. Quelle tre scodelle non sono solo utensili da cucina, ma simboli di misura, limite, accoglienza del poco che resta — un atto minimo che diventa resistenza.
Visivamente, il film è sorretto da una fotografia calda e intima che trasforma Roma in un’isola sospesa fra memoria e attesa. Coixet reincide su temi a lei cari — il dolore, i silenzi che pesano, il corpo che reclama ascolto — ma cerca di evitare i cliché del melodramma.
Tuttavia, il percorso non è privo di irregolarità. La prima parte soffre di una certa rarefazione, quasi che il film indugiasse su dettagli quotidiani senza riuscire ancora a costruire la tensione interna necessaria. È solo con la rivelazione della malattia che la storia acquista spessore, come se un’interruzione nel flusso temporale desse spazio a quel che davvero conta.
La recitazione è in bilico tra intensità e rischio: Rohrwacher, con il suo registro emotivo già noto, porta in Marta un misto di fragilità e risolutezza, ma a volte sembra correre il rischio di appiattimento. Germano, al contrario, offre una maschera di confusione e rimpianto che risuona con più sfumature. Meno riuscito il dialogo con il manichino coreano e con il personaggio del collega filosofo di Marta, che appare fragile sul piano drammaturgico e la cui funzione resta incerta. Le sue citazioni concettuali — in particolare quelle su Feuerbach — risultano forzate e discutibili, più ornamentali che davvero integrate nel tessuto narrativo.
Da un punto di vista esistenziale, Tre ciotole si interroga su ciò che resta quando ogni certezza vacilla. La malattia emerge non tanto come evento esterno da raccontare, ma come soglia che impone uno sguardo diverso sulla vita: il gusto, la musica, il desiderio, il corpo stesso, si fanno testimoni ultimi del senso.
Il film incarna uno scarto tra “esistere” e “sentire”: Marta non è solo “sofferente”, ma è qualcuno che deve reimparare la misura, il gusto, il tempo. In quel gesto di regolazione — le tre ciotole — si può leggere una tensione fra limite e apertura, tra quel che si può dare e quel che si deve lasciare andare.
Tuttavia, l’operazione è ambiziosa e rischiosa: trasformare la morte in esperienza è sempre un cammino sottile, esposto al pericolo di sentimentalismo: la difficoltà del film rimane quella di trovare una misura tra la dimensione esistenziale e la costruzione cinematografica.

Tre ciotole si colloca in quella zona intermedia del cinema che tenta di farsi riflessione sulla vita e sul morire senza però raggiungere la potenza di un’esperienza davvero trasformativa. L’intenzione è chiara: coniugare l’intimità quotidiana con una tensione simbolica, trasformare il cibo, il corpo, il silenzio in metafore di resistenza e di finitudine. Tuttavia, il film procede con un passo irregolare, oscillando tra il rigore della cronaca domestica e un eccesso di segni che restano spesso decorativi.

Si percepisce la volontà di restituire a Michela Murgia un omaggio rispettoso, ma ciò che arriva sullo schermo è un oggetto che vive soprattutto di intenzioni e suggestioni: il film resta sospeso in un limbo indefinito, un prodotto corretto, ma che non riesce a incidere né sul piano emotivo né su quello concettuale.

In questo senso, Tre ciotole appare come un’opera di transito: più un esercizio di stile che una vera immersione nella radicalità del tema. La morte e la malattia, così come l’amore interrotto e il bisogno di ricominciare, emergono come spunti evocativi, ma raramente si traducono in immagini capaci di ridisegnare lo sguardo. Alla fine, ciò che rimane non è l’impronta di un film necessario, ma l’impressione di un lavoro che si affida alla forza del materiale di partenza e al prestigio dei suoi interpreti, ritagliandosi uno spazio privo di  quello slancio capace di trasformare il racconto in esperienza memorabile.

 
La malattia è il maestro silenzioso che ci costringe a misurare il tempo che resta.
 — Viktor Frankl

Tre Ciotole Trailer

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