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Vingt Dieux!

Tutto In Un'estate!

Louise Courvoisier

Drama • 2024 • 1h 30m

Questo film è stato presentato a Cannes Film Festival

Vingt Dieux!

Nel magma opaco delle vite marginali, Vingt dieux – diventato Holy Cow! per i mercati anglofoni, come a sancire il bisogno di una giaculatoria più esotica – segna l’ingresso inquieto di Louise Courvoisier nel cinema. Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2024, il film si è fatto spazio come una crepa autentica nella superficie levigata dei racconti di formazione. Dietro il titolo strillato, la regista delinea una deriva giovanile non redimibile, in una Francia rurale dove i riti di passaggio si consumano non con fiaccole, ma con latte crudo, sudore e fermenti.

Recensito da Beatrice 22. June 2025
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“A volte si cresce solo perché non si può tornare indietro.”
Friedrich Dürrenmatt
 
Totone,  non è un ribelle né un eroe. È un ragazzotto in fabbricazione. Il suo universo – il Giura, zona di pascoli e formaggi pregiati – si configura come un altare profano in cui ogni gesto agricolo ha perso la sua sacralità. Il padre, contadino e alcolista, evapora dalla scena con la morte: un’uscita tragicamente coerente, che toglie il sipario a un dramma della sopravvivenza silenziosa. Da quel momento Totone è chiamato a diventare “grande” – non per volontà, ma per dispositivo giuridico. E la legge dell’uomo adulto è spietata, specialmente quando impone la tutela di una sorellina, Claire, che resta come puro evento etico, urgenza muta, presenza impossibile da ignorare.
Ma non c’è epica nel crescere. Solo la miseria operosa del quotidiano, sporcata da goffe trasgressioni notturne, da festini stonati e sonni brevi, sveglie dolorose e responsabilità che stridono sul corpo immaturo. Il tempo dell’infanzia è sepolto sotto l’urgenza della sopravvivenza: il latte va munto, le consegne fatte all’alba. Si alza alle quattro del mattino per iniziare il giro di raccolta. E quando si porta dietro la Coca-Cola, finisce per vomitare: la notte prima ha bevuto e ballato, deragliando ancora una volta dal sentiero della compostezza.
L’economia non è mai solo denaro: è biologia, è sostanza che si trasforma in altro, è forma della resistenza. E così la possibilità di un riscatto – i trentamila euro per il miglior Comté della regione – diventa non tanto un premio, quanto un’ideologia temporanea. Non c'è sogno, c'è solo necessità. Totone guarda allora alle mani rugose degli anziani, ai gesti ereditati più che appresi. La trasmissione non avviene per amore, ma per contiguità. Si impara osservando, imitando, senza parole.
E il formaggio – quel prodotto del tempo, della muffa, del silenzio – si impone come metafora vivente della crescita. Non si diventa adulti: si fermenta, si irrancidisce, si coagula. La vasca da pulire, il controllo della qualità, il lavoro a dieci euro l’ora: ogni compito è una forma di apprendimento crudo. Ma il mondo non restituisce nulla. I responsabili del caseificio – tra cui il figlio dell’uomo a cui Totone ha spaccato la testa – non hanno né comprensione né pietà. Viene picchiato, poi licenziato dopo un’ennesima reazione impulsiva, altra sconfitta incassata senza appello.
E allora si reinventa: si mette in proprio, sostenuto da un’improbabile solidarietà tra coetanei. L’obiettivo è semplice, necessario, feroce: vincere la medaglia. E per farlo va da lei – Marie-Lise – la contadina ruvida che manda avanti un’azienda da sola, che fa partorire le mucche mentre Totone ruba il latte, che non parla ma agisce. Con lei scopre il sesso, non come elevazione ma come adesione animale al reale. Il desiderio non redime: consuma. È fisiologia, un’azione parallela alla mungitura, allo stoccaggio, al coagulo.
Courvoisier filma la provincia senza nostalgia, con un’attenzione che non giudica né consola. L’atmosfera è carica di odori: lo sterco, il fieno, l’umore animale. E quando il desiderio irrompe, lo fa con la stessa rudezza con cui si scarica una mucca. Il sesso fra Totone e Marie-Lise non è erotismo, è scambio.Un corpo a corpo che confonde amicizia e responsabilità, azione e coscienza.
 
“Il corpo non ha morale: ha fame, ha sete, ha bisogno.”
Jean-Luc Nancy
 
Nel magma opaco delle vite marginali, Vingt dieux – diventato Holy Cow! per i mercati anglofoni, come a sancire il bisogno di una giaculatoria più esotica – segna l’ingresso inquieto di Louise Courvoisier nel cinema. Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2024, il film si è fatto spazio come una crepa autentica nella superficie levigata dei racconti di formazione. Dietro il titolo strillato, la regista delinea una deriva giovanile non redimibile, in una Francia rurale dove i riti di passaggio si consumano non con fiaccole, ma con latte crudo, sudore e fermenti.
Il film elude la trappola del sentimentalismo. Totone non ha epifanie, né redenzioni: solo compiti, orari, ostinazioni. Il cinema di Courvoisier si radica nel reale come un’infezione lucida. Lavora con attori non professionisti e materiali veri, senza sovrastrutture, con una lucidità quasi documentaria, ma che si apre a squarci poetici: il recipiente del latte, ad esempio, diventa un oggetto quasi totemico. La regista lo definisce “religioso”, e non è una metafora azzardata: è la testimonianza che anche il mezzo può essere solenne, se vissuto intensamente.
Nel pentolone – rotondo, caldo, pronto a ricevere – si legge l’intera parabola del film: ciò che viene raccolto, miscelato, atteso, può diventare sostanza. Ma solo attraverso fatica e pazienza. Holy Cow! è questo: un’elegia del farsi, un’ode ruvida alla responsabilità non scelta, un inno al tempo che trasforma la materia e, con essa, l’umano. Una favola amara, malinconica, animalesca – dove l’amore e l’amicizia, forse, possono ancora sfiorare l’irrecuperabile.
 
“Non eravamo preparati alla realtà. Solo alla sua idea.”
Simone de Beauvoir
 

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