Destra e Sinistra e l’autonomia della politica di fronte alla economia

Destra E Sinistra E L’autonomia Della Politica Di Fronte Alla Economia

La distinzione tra destra e sinistra non va ridotta a una banale contrapposizione di programmi elettorali, ma va intesa come l’espressione di due modi diversi di concepire l’uomo, la società e il tempo storico. Si tratta di due paradigmi politici e culturali che, pur trasformandosi nel corso dei secoli, continuano a rappresentare i poli fondamentali del dibattito pubblico.

Recensito da Beatrice 17. August 2025
La distinzione tra destra e sinistra si riduce, in ultima analisi, a una diversa valutazione del principio di uguaglianza.
Norberto Bobbio


Per spiegare cosa significa essere di destra o di sinistra, bisogna distinguere tra il livello storico e quello attuale, perché i significati sono cambiati nel tempo.


Origine storica
·       L’espressione nasce dopo la Rivoluzione francese: nell’Assemblea, chi sedeva a sinistra sosteneva cambiamenti radicali, uguaglianza, ampliamento dei diritti; chi sedeva a destra difendeva l’ordine esistente, la monarchia, la tradizione.

In senso generale
La distinzione tra destra e sinistra non va ridotta a una banale contrapposizione di programmi elettorali, ma va intesa come l’espressione di due modi diversi di concepire l’uomo, la società e il tempo storico. Si tratta di due paradigmi politici e culturali che, pur trasformandosi nel corso dei secoli, continuano a rappresentare i poli fondamentali del dibattito pubblico.
La sinistra nasce da un impulso emancipatore: vede nelle strutture sociali ed economiche l’origine delle disuguaglianze e ritiene che compito della politica sia intervenire per correggerle. La sua idea di libertà non è mai puramente individuale, ma collettiva: nessuno è realmente libero se le condizioni materiali negano ad altri le stesse possibilità. Da qui l’attenzione per la redistribuzione, i diritti sociali, l’accesso universale a istruzione, sanità, lavoro. L’orizzonte è il futuro, la trasformazione, la possibilità che l’ordine dato possa essere messo in discussione per aprire spazi di giustizia maggiore. In questa visione, riconosciamo l’eredità di Marx, che vedeva la storia come lotta di classe e processo di emancipazione, ma anche di pensatori come Norberto Bobbio, che ha distinto con chiarezza la sinistra come “parte dell’uguaglianza” contrapposta alla destra come “parte della disuguaglianza”.
La destra, al contrario, muove da una fiducia nelle differenze come elementi costitutivi della vita sociale. Le gerarchie, i meriti, le tradizioni non sono necessariamente ingiustizie, ma spesso il fondamento di coesione e stabilità. Per questa visione, la libertà è soprattutto responsabilità individuale, esercizio della propria autonomia senza eccessiva interferenza dello Stato. L’uguaglianza assoluta è considerata un’astrazione pericolosa che rischia di livellare e soffocare il talento. Il suo orizzonte temporale è la continuità: custodire ciò che ha garantito sopravvivenza, identità, radici. Qui troviamo i riferimenti a Edmund Burke, padre del pensiero conservatore, che vedeva nella tradizione una forma di saggezza accumulata, e a Carl Schmitt, che individuava nella difesa dell’ordine e dell’identità comunitaria il cuore della politica.
Queste due posture politiche implicano una diversa concezione del rapporto tra individuo e collettività. La sinistra vede l’individuo come essere sociale, che trova realizzazione solo in una rete di diritti condivisi. La destra lo vede come persona autonoma, portatrice di doveri e responsabilità che precedono ogni pretesa di redistribuzione. Ne derivano due etiche fondamentali:
  • L’etica della sinistra è l’etica della solidarietà. Essa insiste sul dovere morale di ridurre le ingiustizie e di offrire a ciascuno la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità. È una prospettiva universalista, che mette in discussione privilegi e frontiere, e guarda all’umanità come a una comunità di destino.
  • L’etica della destra è l’etica della responsabilità e della continuità. Essa sottolinea il valore del radicamento, del merito, del sacrificio personale e della difesa delle identità culturali. È una prospettiva particolarista, che pone l’accento sul senso di appartenenza, sulla trasmissione di valori e sull’ordine come condizione della libertà.
·       Per la destra, la responsabilità è prima di tutto individuale: l’individuo deve rispondere delle proprie scelte, assumersi i rischi del proprio agire, provvedere a sé e alla propria comunità primaria (famiglia, nazione). Qui l’etica insiste sull’autonomia, sul merito, sul dovere personale. La responsabilità è, per così dire, centripeta, rivolta a ciò che è vicino, immediato, radicato.

·       Per la sinistra, la responsabilità è intesa in senso collettivo e sociale: non ci si può dire responsabili se si lascia che altri vivano in condizioni di privazione o ingiustizia. L’individuo è responsabile non solo per sé, ma per la società in cui vive, e persino per le generazioni future. È la responsabilità che emerge, per esempio, in autori come Karl Marx (nei confronti della classe oppressa) o in Hans Jonas con il suo “principio responsabilità” applicato all’ecologia e all’umanità nel suo insieme. Qui l’etica è centrifuga: si estende oltre il sé, includendo il prossimo, il diverso, lo straniero.

In breve:

·       La destra enfatizza la responsabilità personale: “Ognuno risponde di sé e del proprio destino”.

·       La sinistra enfatizza la responsabilità sociale: “Siamo responsabili gli uni degli altri”.

Entrambe sono forme di etica della responsabilità, ma applicate a sfere differenti — una più radicata nella prossimità e nel dovere personale, l’altra nella giustizia e nella solidarietà universale.

 
Oggi, in un mondo complesso e globalizzato, queste categorie si intrecciano: destre che rivendicano protezione sociale, sinistre che accettano il mercato competitivo. Eppure, la tensione tra le due rimane viva, perché esprime un conflitto antropologico prima ancora che politico: da un lato, la speranza di trasformare il mondo in nome della giustizia; dall’altro, la volontà di preservare ciò che già dà senso e coesione alla vita comune.
Come notava Alexis de Tocqueville, la democrazia vive di equilibrio tra eguaglianza e libertà, tra passione per il nuovo e rispetto per la tradizione. È questa dialettica, più che la vittoria definitiva di un polo sull’altro, a costituire il cuore della politica.
In questo senso, destra e sinistra non sono soltanto etichette storiche, ma rappresentano due forze complementari, sempre in dialettica. L’una ricorda che nulla è immutabile e che il futuro può essere più giusto; l’altra che la fragilità dell’ordine umano ha bisogno di radici e continuità. Il loro conflitto, lungi dall’essere un’anomalia, è ciò che tiene viva la politica come spazio di scelta e di responsabilità collettiva.


1. L’autonomia della politica di fronte all’economia oggi
Oggi viviamo in un contesto in cui l’economia globale — mercati finanziari, grandi multinazionali, catene di approvvigionamento, intelligenza artificiale, tecnologie di rete — limita fortemente l’autonomia della politica nazionale. Le decisioni dei governi sono spesso condizionate da:

·       la pressione dei mercati finanziari (spread, rating, capitali mobili);

·       la concorrenza fiscale e produttiva tra Paesi;

·       le regole delle istituzioni sovranazionali (UE, WTO, FMI);

·       le nuove tecnologie che sfuggono al controllo dei singoli Stati.

In altre parole, la politica non ha più lo stesso grado di sovranità che aveva nei decenni del dopoguerra, quando lo Stato-nazione era il centro quasi esclusivo della decisione. La globalizzazione ha spostato il baricentro verso un’economia che appare più “autonoma” rispetto al potere democratico.



2. La posizione della destra
La destra tende a leggere questa condizione in due modi possibili, spesso coesistenti ma talvolta in tensione:

·       Linea liberale: accettare il primato dell’economia globale e favorire il libero mercato, riducendo l’intervento dello Stato per competere meglio nello scenario internazionale. Qui la politica deve adattarsi e non ostacolare i flussi di capitale e investimento.

·       Linea sovranista: rivendicare il primato della politica contro la globalizzazione, difendere la sovranità economica e proteggere la produzione nazionale con dazi, incentivi, politiche industriali. Qui l’economia deve tornare a essere subordinata alla decisione politica, anche a costo di conflitti con le regole internazionali.



3. La posizione della sinistra
La sinistra, anche qui con sfumature diverse, si muove su due direttrici:

·       Linea socialdemocratica-riformista: accettare l’interdipendenza globale, ma regolamentarla attraverso istituzioni sovranazionali più forti e democratiche (UE, ONU, organismi multilaterali). L’obiettivo è rendere l’economia compatibile con diritti sociali, lavoro dignitoso, welfare.

·       Linea radicale/critica: contestare che la politica possa ancora essere “autonoma” all’interno del capitalismo globale, e proporre una trasformazione più radicale (nuove forme di controllo democratico dell’economia, riduzione del potere dei mercati, sperimentazioni post-capitaliste).



4. Nodo filosofico-etico
 

La vera divisione non è tra chi sta a destra e chi sta a sinistra, ma tra chi pensa e chi non pensa.
Umberto Eco


La domanda di fondo è: chi decide davvero sul nostro futuro?

·       Se prevale l’economia, il rischio è che la democrazia si riduca a un margine amministrativo, incapace di affrontare disuguaglianze, emergenze ambientali, sfruttamento.

·       Se prevale la politica, il rischio è che si cada in protezionismi eccessivi o in nazionalismi che riducono la cooperazione globale.

In questo senso, la destra e la sinistra interpretano diversamente il rapporto politica–economia:

·       La destra vede spesso la libertà dei mercati come spazio naturale della crescita e della responsabilità individuale, ma al tempo stesso, in certe declinazioni, rivendica il diritto della comunità politica di proteggersi.

·       La sinistra vede nell’economia globale un rischio di disuguaglianza e sfruttamento, e propone di “domesticarla” tramite regole e istituzioni, o addirittura di superarla con modelli alternativi.


 In sintesi: l’autonomia della politica oggi è limitata, ma la differenza tra destra e sinistra sta proprio nel modo in cui ciascuna accetta o contesta questo dominio: la destra tende a integrarsi o a reagire difendendo il particolare (la nazione, l’identità, il mercato libero), la sinistra tende a regolare o a trasformare, cercando una dimensione più universale di giustizia e sostenibilità.


Io sono contro la destra e contro la sinistra, perché entrambe hanno tradito la loro origine.
Pier Paolo Pasolini