Io non sono che un’attrice. Ma il teatro è la mia religione.
( E.Duse)
Ambientato tra la fine della Prima Guerra Mondiale e l’ascesa del fascismo, il film esplora non solo la carriera della celebre attrice, ma anche le sue complesse interazioni con figure politiche e culturali dell’epoca.
Marcello pone l’accento sul rapporto ambiguo tra Duse e D’Annunzio: in più occasioni, emerge l’idea che D’Annunzio si percepisca quasi come un dio, evidenziando la sua Hybris e il contrasto tra grandezza creativa e debolezza personale. Questi elementi offrono al pubblico uno sguardo sfaccettato sulle tensioni tra arte, ambizione e realtà storica.
La Duse è rappresentata come una vera artista, animata da un amore sviscerato per il teatro, che ama come la vita e la morte, e per il quale è disposta a tutto. La sua personalità seduttiva e carismatica traspare in ogni gesto, restituendo l’immagine di una donna capace di attrarre e dominare la scena tanto nella vita quanto sul palco. La decisione di tornare al teatro è anche legata a un destino avverso: il fallimento della banca di Berlino, in cui aveva depositato tutti i suoi risparmi, la priva delle sue certezze e la costringe a rimettersi in gioco.
Gabriele D’Annunzio, in gioventù fragile e arrogante, capace di definirsi un Dio ma al tempo stesso vittima del proprio destino che in una delle scene più intense ormai ferito e stanco, intuisce e rivela alla Duse di essere stata raggirata da Mussolini, il quale le aveva promesso l’estinzione dei debiti e un vitalizio. Un aneddoto che mette in luce non solo la manipolazione politica del tempo, ma anche la fragilità e i limiti delle grandi personalità di fronte al potere.
Il film alterna momenti intimi a scene che evocano la guerra e il suo dolore: treni carichi di vittime, corone di fiori, simboli di lutto e memoria.
Parallelamente, si rivela il delicato e tormentato legame tra la Duse e la figlia: quest’ultima, mai riuscita a penetrare il mistero della madre, e la Duse, pur amandola senza riserve, sembra non averla mai accolta completamente, scegliendo invece la compagnia di un’assistente. Tra le due, una sottile ma profonda rivalità affettiva, un gioco silenzioso di assenze e desideri non corrisposti.
L’ambientazione veneziana amplifica il fascino visivo del film: case intrise di storia, palazzi silenziosi e i teatri più illustri restituiscono un’atmosfera sospesa, dove il tempo sembra confondersi con la leggenda.
La regia intensa, inquieta, artistica e sofisticata di Marcello, insieme alla performance indiscutibile della Bruni Tedeschi, conferisce al film un tono estremo e malinconico, trasformando Duse in un’opera che celebra la forza, la vulnerabilità e la complessità di una delle figure più emblematiche del teatro italiano.
La mia Eleonora è la mia gloria e la mia condanna.
( G. D’Annunzio)