“La nostra vita non è determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla.”
— James Hillman
Girl di Shu Qi osserva l’infanzia come territorio di costrizione e possibilità. Hsiao-lee è definita dalla pressione familiare: la madre, assorbita dai doveri, non manifesta affetto, soprattutto verso la figlia maggiore; il padre incarna la violenza silenziosa della cultura patriarcale, segnando ogni gesto con oppressione e timore. La vita quotidiana scorre tra silenzi e movimenti ripetitivi, un’esistenza compressa in spazi emotivi angusti.
Li-li introduce uno squarcio di alterità: curiosità, complicità, libertà. La loro amicizia non è consolazione, ma resistenza: fughe nei cortili, risate rubate, piccoli segreti che conferiscono spessore all’esistenza di Hsiao-lee. Shu Qi tratteggia questi momenti con regia misurata, trasformando la banalità apparente in atti di autonomia.
Il film mette in luce la tensione tra desiderio di liberazione e costrizioni familiari. Ogni confronto con il padre, ogni obbligo domestico, testimonia la repressione; Li-li rappresenta la possibilità di autonomia emotiva e intellettuale. La fotografia amplifica il contrasto tra luce e ombra, silenzio e parola, restituendo uno spazio sospeso.
Girl non racconta semplicemente un’amicizia. È un’analisi sulla costruzione del sé, sulla necessità di trovare un nucleo interiore in mezzo alla costrizione e alla mancanza di riconoscimento. L’infanzia può essere prigione e laboratorio insieme, e ogni relazione, ogni gesto sospeso, misura la possibilità di costruire o meno un’identità.
L’infanzia è una malattia - un malanno da cui si guarisce crescendo.”
— William Golding