Le malvagità del capitalismo cominciano con un foglio di excel e una lista di licenziati.
Fabrizio Caramagna
No Other Choice si presenta come il tentativo di
Park Chan-wook di coniugare satira sociale e intrattenimento, ma il risultato è un’opera che resta sospesa in una terra di nessuno, incapace sia di divertire sia di incidere davvero. Dalla penna visionaria dell’autore di
Old Boy che aveva dato forma alla ferocia poetica della
Trilogia della vendetta ci si sarebbe aspettati uno sguardo spietato, complesso e radicale; invece qui emerge soltanto un gesto manieristico, una caricatura che non graffia.
Il film sembra voler parlare della precarietà del lavoro, dell’ossessione contemporanea per la competizione, del corpo e dell’identità sacrificati sull’altare del profitto. Ma la metafora si consuma presto, lasciando spazio a un umorismo grottesco che non ha mai il coraggio di spingersi fino in fondo. Le sequenze pensate per essere ironiche si diluiscono in gag prevedibili, incapaci di generare riso autentico o riflessione profonda. Il ridicolo si ferma sulla superficie, non tocca mai quell’abisso esistenziale che trasforma la satira in tragedia.
Il protagonista, dipinto come vittima e carnefice insieme, non suscita né empatia né orrore: resta un pupazzo tragico che si muove dentro una scenografia accurata ma sterile. La messa in scena, impeccabile come sempre nel cinema di Park, diventa qui un guscio estetico che non riesce a nascondere la fragilità della scrittura. È un esercizio di stile che manca di carne, di dolore, di necessità.
Il confronto con Il cacciatore di teste di Costa-Gavras è inevitabile: là dove il regista greco riusciva a raccontare con lucidità feroce la spietatezza del mondo del lavoro e l’alienazione dell’uomo ridotto a ingranaggio, Park sembra limitarsi a un gioco visivo privo di reale mordente. L’originale resta nettamente superiore, perché unisce chiarezza politica e tensione morale, senza rifugiarsi in un’ironia svuotata.
Alla fine, No Other Choice lascia lo spettatore in una zona grigia di indifferenza: non scuote, non diverte, non ferisce. È un film che tenta la leggerezza ma inciampa, un’opera che, invece di attraversare l’abisso del presente, si accontenta di disegnare maschere senza sangue. Dal genio che ci aveva consegnato visioni indimenticabili sulla vendetta, questo passo falso pesa ancora di più; grottesco e black comedy, senza il mordente che ne giustifichi l’irriverenza.
Il capitalismo corre sempre il rischio di ispirare gli uomini ad essere più interessati a guadagnarsi da vivere che a vivere.
Martin Luther King