“Il segreto supremo del potere consiste nel moltiplicare i nemici invisibili.”
Elias Canetti:
Non ci troviamo davanti a un semplice affresco politico, né a una cronaca di potere. È piuttosto un’indagine sulla materia oscura che abita il cuore del comando, laddove la manipolazione dell’immagine diventa più reale della realtà stessa. La figura del “mago” non è qui un ornamento simbolico, ma il segno di una metamorfosi: colui che governa non lo fa più con la forza tangibile, ma con l’incantamento, con l’arte di piegare la percezione collettiva a una logica che trasforma la finzione in destino.
La trama si innesta proprio su questo incanto: la voce narrante di un consigliere e stratega invisibile, capace di muovere dall’ombra la scena del Cremlino, accompagna lo spettatore all’interno del mito politico di Vladimir Putin. Non si tratta di un ritratto realistico, ma di una lenta, inquieta discesa nelle architetture simboliche che hanno trasformato un uomo in figura assoluta, in incarnazione della sovranità e dello stigma. Assayas non sceglie il registro del documentario né quello della denuncia diretta; la sua narrazione procede come se stesse evocando un fantasma, quello di un potere che affascina e terrorizza al tempo stesso.
Putin appare qui come l’ultimo leader contemporaneo in grado di catalizzare l’attenzione del mondo: non solo per la sua forza politica e militare, ma per il carisma enigmatico che si rifrange in una rete di immagini, rituali, propagande e messinscene. Per l’Occidente, egli diventa così la figura mefistofelica per eccellenza, costruita e alimentata dal potere stesso, simbolo di una seduzione perversa che trasforma la politica in spettacolo demoniaco o paternalista, come dove e quando si voglia.
“Chi ha la coscienza della propria forza è sempre terribile, perché non ha più bisogno della verità.”
Fëdor Dostoevskij:
Accanto a lui, si staglia la presenza degli oligarchi, che incarnano un altro volto del potere: quello dell’accumulazione sfrenata e della scommessa continua sul destino collettivo. Un magnate dei casinò, in una delle sequenze più rivelatrici, pronuncia una frase che sembra riassumere il cuore del sistema: “il casinò è il monumento all’irrazionalità umana, scommettere quando le probabilità sono nulle”. Il mago del Cremlino risponde con una lucidità glaciale: “scommettere sull’irrazionalità umana è una vittoria sicura”. Da questa logica emerge l’essenza stessa del potere: non convincere né persuadere, ma generare un’ossessione, qualunque essa sia, fino a trasformarla in unica realtà possibile.
Assayas scava in questa soglia, mostrando che il dominio non è soltanto un apparato burocratico o un sistema di violenza, ma un’invocazione continua, una sorta di rito ipnotico che costruisce consenso e paura allo stesso tempo. Lo sguardo del regista, che sempre ha oscillato tra intimità e enigma qui si fa cronaca tagliente e interroga il lato arcano della politica, dove la verità si confonde con il mito e la menzogna diventa fondamento di realtà.
“Il potere non ha volto, solo corridoi interminabili.”
Franz Kafka:
C’è un tono quasi dostoevskiano nell’atmosfera del film, come se le vicende di palazzo si intrecciassero a un rovello metafisico: cosa resta dell’uomo quando il suo volto è ridotto a pura immagine da manipolare? Quale spazio resta al desiderio, al dubbio, all’errore, quando il potere funziona come un congegno che pretende di abolire il fallimento? L’enigma del “mago” non è soltanto quello di chi manipola, ma anche quello di chi si lascia stregare: un popolo, un mondo, forse ciascuno di noi davanti agli schermi che moltiplicano illusioni.
In questo senso, Le mage du Kremlin non è soltanto un film politico, ma un racconto sul nostro tempo più profondo: un’epoca in cui la realtà non si limita a essere narrata, ma viene costantemente manipolata, riscritta, rifratta, incantata. Assayas offre uno specchio oscuro, e guardandoci dentro riconosciamo la condizione di un presente che non distingue più il visibile dall’invenzione, la promessa dalla minaccia, la storia dal delirio. Potente.
Cioran:
“La politica è l’arte di trasformare l’irrazionale in destino.”