Il corpo è la superficie su cui si esercita il potere; la disciplina lo modella, lo piega e ne determina la forza.
Michel Foucault
In Mother, si decostruisce l’immagine canonica di Madre Teresa, trasfigurandola in un ritratto che rifiuta il confortante cliché dell’icona sacra per addentrarsi in territori esistenziali meno battuti. Il film esplora la materia umana della religiosa non come santità distante, ma come esperienza viva, fragile, contraddittoria: una donna sospesa tra devozione e dubbio, tra vincoli imposti e libertà interiore. Ciò che emerge non è la biografia, bensì un’esplorazione radicale dell’essere in cammino, del peso morale e spirituale che accompagna chi sceglie la dedizione totale agli altri.
In questa costruzione, la rigorosità delle regole autoimposte non appare semplicemente come disciplina: la loro severità estrema diventa sintomo di una difficoltà profonda, di un tentativo di trovare ordine dentro il caos interiore. Allo stesso modo, il conflitto con la maternità — con il sacrificio del corpo e della possibilità di generare — si manifesta come un’ombra costante, un segnale della tensione tra responsabilità e desiderio personale. L’ambivalenza del vissuto tra accoglienza e rifiuto, crudeltà e pietà, scandisce ogni gesto e decisione, generando una densità emotiva che la regia traduce anche attraverso la scelta musicale: la colonna sonora di Hard Rock Hallelujah dei Lordi, estrema e sofisticata, accompagna le contraddizioni interne della protagonista, accentuandone la radicalità e lo stridore morale, in un contrasto potente con l’immagine di santità tradizionale.
Madre Teresa di Calcutta attendeva il permesso per fondare la congregazione delle Missionarie della Carità nel 1948 da Papa Pio XII.
In quel periodo, Madre Teresa era ancora suora del convento di Loreto a Calcutta e sentiva la chiamata a dedicarsi interamente ai più poveri tra i poveri. Prima di lasciare il convento e iniziare la sua nuova comunità, chiese quindi l’autorizzazione papale per garantire che la sua fondazione fosse riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa cattolica.
Mitevska si sottrae alla retorica del miracolo e dell’ideale immacolato, preferendo sondare il vuoto, le tensioni, le paure e la solitudine che attraversano la protagonista nei sette giorni che precedono la sua decisione più cruciale: abbandonare la sicurezza del convento per fondare le Missionarie della Carità. La scansione dei giorni, integrata da una grafica studiata e accattivante, struttura il racconto come un percorso rituale, dove ogni istante è misurato e pesato, riflettendo l’ossessione per il controllo e la disciplina che accompagna la protagonista. Lontano da ogni mito, il film induce lo spettatore a confrontarsi con la natura stessa della responsabilità, della compassione e del sacrificio: cosa significa veramente farsi carico del dolore altrui? Quale prezzo interiore comporta un amore che non conosce limiti e ha bisogno di regole estreme?
Il racconto si intensifica attraverso sequenze che sfuggono a ogni previsione, al limite dell’ipnotico e del psichicamente perturbante. Alcune scene emergono come visioni improvvise, sospese tra sogno e realtà, in cui il vissuto di sacrificio della protagonista si manifesta in forme a tratti incomprensibili. Le immagini di costrizione e contrizione assumono una qualità quasi onirica, come lampi di incubo che attraversano lo schermo con violenza, restituendo allo spettatore la tensione estrema di chi vive sotto il peso della fede, del dubbio e della dedizione totale. Ogni sequenza inattesa, ogni frammento visivo, sembra sondare il limite tra percezione e allucinazione, trasformando la narrazione in un flusso ipnotico di emozioni e riflessioni sul prezzo della santità e del sacrificio corporeo.
La narrazione scivola tra intimità e astrazione, costruendo un percorso sensoriale e psicologico che destabilizza le aspettative. Noomi Rapace incarna una figura non mitizzata ma autenticamente vulnerabile, traducendo sullo schermo l’inquietudine, il desiderio di senso e la radicalità morale di una donna che si pone costantemente di fronte a dilemmi che sfidano la logica comune.
Mother è un film che si colloca ai margini della rappresentazione tradizionale, invitando a contemplare la spiritualità come esperienza concreta, tormentata e inattesa. È un’opera che scuote l’immaginario condiviso, proponendo una visione alternativa e profonda di Madre Teresa: non solo simbolo di santità, ma figura esistenziale immersa in un mondo di contraddizioni, scelte estreme e radicali gesti di umanità. La pellicola diventa così un viaggio filosofico, una riflessione sulla possibilità di trasformare la sofferenza in un atto di amore e sul prezzo dell’aderenza totale a un ideale, scandita in un ritmo quasi liturgico e accompagnata da elementi formali e musicali che ne amplificano la forza emotiva.
Il corpo femminile è il teatro di contraddizioni che la società tenta di definire; la libertà si misura nella capacità di viverle.
Simone De Beauvoir